Lavorare a Fuerteventura come cameriere
Di Graziana Morcaldi.
Su un isola piccola e turistica come Fuerteventura i lavori più comuni che si svolgono sono, come è facile immaginare, nel settore turistico. A Fuerteventura tra le occupazioni più usuali c’è la figura del Pr (public relationship, ma detto anche butta dentro, una figura poco conosciuta in Italia), e cameriere. Andiamo dietro le quinte e scopriamo gli aspetti divertenti e curiosi di questi lavori.
Chi pensa che fare il cameriere sia un mestiere noioso o abitudinario è lontano un bel pò dalla realtà di questa professione. I camerieri a Fuerteventura lavorano anche dodici ore al giorno e non esiste il “sacrificio” dei tre mesi di stagione, perché su un isola dove il sole è ridente e caldo tutto l’anno si lavora dodici mesi No Stop. Una pazzia, direte, e lo è, ma quante soddisfazioni! E’ sempre la storia del bicchiere, lo vedete mezzo pieno o mezzo vuoto? Innanzitutto credere che si faccia il cameriere per crisi o per mancanza di alternative è il primo tabù da sfatare. Il mestiere del cameriere è appagante. Accogliere i clienti, coccolarli, scambiare esperienze culturali, raccontargli l’isola e poi vederli tornare il giorno dopo e quello dopo ancora fino alla fine della vacanza è una bella soddisfazione: sei consapevole di aver fatto bene il tuo lavoro.
È un lavoro dinamico e si è sempre in movimento, le ore scivolano via rapide e la stanchezza si avverte solo quando la giornata volge a termine e gli ultimi clienti sono pronti per andare via. Ci sono momenti di stallo, in cui preparando i tavoli per la cena e prendendo il caffè si chiacchiera e ci si rilassa con i colleghi, si scambiano battute con i camerieri del ristorante accanto e si contempla l’oceano, per chi come me ha la fortuna di lavorare a un pugno di mosche dalla spiaggia. Il ristorante è vuoto, la gente è in spiaggia, i bambini fanno un gran chiasso e le ragazzine si scattano i loro selfie. Ma c’è una regola non scritta e non comprensibile che è la seguente: non importa che il ristorante sia vuoto, nel momento in cui arriveranno i primi clienti, in pochi minuti i tavoli saranno pieni e la terrazza, silenziosa e tranquilla che era stata fino a pochi minuti prima sarà vivace e affollata. Se cercherete di capirne la logica non ci riuscirete, è un evento inspiegabile e puntuale. Il cameriere, avvezzo dall’esperienza, passa con naturalezza dalle chiacchiere con il collega e il ritmo rilassato della pausa al muoversi rapido tra ordini e bibite.
Con il tempo impari a riconoscere la nazionalità dei clienti a prima occhiata, dal colore della pelle o da piccoli dettagli che vivendo a contatto con gente proveniente da tutte le parti del mondo impari a notare. Per esempio, gli inglesi generalmente fanno i figli giovanissimi e ne hanno più di due. Vedi arrivare questi bambini biondi e dagli occhioni azzurri, educati e tenerissimi. Le coppie al di sopra dei cinquanta, specie i norvegesi o gli irlandesi, divengono fedeli e affezionati. Quando finisce la vacanza ti lasciano la mancia doppia e ti ringraziano per il buon servizio e la buona compagnia con strette di mano e abbracci. I francesi sono poco abituati alle chiacchiere e hanno poca perspicacia all’ironia. Sono anche piuttosto silenziosi. Poi ci sono gli italiani e gli spagnoli, che da buoni cugini si somigliano un bel pò. Festosi e socievoli, poco propensi alle mance ma di ottima compagnia anche per un cameriere, che ci scambia volentieri due chiacchiere. Ma le diverse culture e provenienze le riconosci anche dal cibo che mangiano, o da quello che bevono. Per esempio gli inglesi amano accompagnare i piatti bevendo cocktail super alcolici o semplicemente con caffè e latte, o tè caldo (rigorosamente mischiato con latte freddo). Gli italiani invece, cultori del buon cibo, si ingegneranno nell’assaggio di cibi tipici del posto, rigorosamente accompagnati dal pane.
Il cliente che già sulla porta pone molteplici domande del tipo: “Il pesce è fresco?”; “Quanto costa questo o quell’altro?” si sa già che sarà un cliente impegnativo e difficile da accontentare e forse andrà via scontento.
E poi chi pensa che fare il cameriere sia un mestiere fine a se stesso? Errore! Il cameriere è anche fotografo, animatore, babysitter e cuoco. Sì anche cuoco, perché quando il cliente è scontento per la carne cotta male lo raggela con gli occhi come fosse stato lui stesso, per uno strano caso di ubiquità, ad aver cucinato mentre serviva ai tavoli.
Una cosa che manda in crisi il cameriere e di cui il cliente è completamente estraneo è il cambio del tavolo. Il cliente si siede ed ordina da bere. Il cameriere si allontana e nel frattempo il cliente in questione pensa bene di cambiare tavolo perché dove è seduto c’è troppo sole, o ce n’è troppo poco. Per il cliente è qualcosa di normale ma per il cameriere no. Torna con l’ordine e si domanda dove siano finiti i suoi clienti che, nel migliore dei casi, ti fanno un cenno per indicarti il loro cambio, alla peggio crederanno che tu abbia occhi anche dietro la testa e hai seguito il loro spostamento. Oltre al fatto che devi tornare al computer a fare il “cambio-tavolo” e se va bene resteranno lì fino alla fine, se va male continuerai a cercarli per il ristorante ogni volta.
Ed è quando il ristorante è pieno e c’è ottima sintonia con i colleghi di lavoro e hai in mano il mestiere che senti di avere il pieno controllo della situazione: porti il conto a un tavolo, nel frattempo il tavolo accanto ti ordina un’altra birra e andando verso il computer per segnare l’ordine suona la campanella: i piatti sono pronti, allora lasci perdere tutto e afferri i piatti, li porti al tavolo, auguri buona cena e nel frattempo i soldi del primo tavolo sono già pronti, prendi il piattino torni dentro, prepari il cambio, segni la birra in più all’altro tavolo e la segnali al cameriere che è dietro al bancone e riportando il resto un cliente ti chiede di fare una foto e tu ne scatti una in più, perché a lui fa piacere. E dopo esserti accertato che le foto scattate siano piaciute ti dirigi verso il bancone un’altra volta e vedi un cliente che si guarda intorno confuso e gli indichi la porta del bagno, senza chiedergli cosa sta cercando perché sai già che è il bagno che cerca smarrito fra i tavoli, e il bambino del tavolo in fondo al ristorante sta facendo i capricci e non lascia mangiare i genitori, allora gli regali una caramella, e poi suona di nuovo la campanella e tutto ricomincia. Una locura come direbbero gli spagnoli. Una locura piacevole e inappagabile. E la mancia finale del cliente, che con il sorriso ti indica i soldi e ti stringe la mano è la prova finale che hai fatto un buon lavoro.
Provate a fare una passeggiata a notte ormai inoltrata, passate davanti ai ristoranti in chiusura, le sedie e i tavolini rientrati. Date uno sguardo all’interno. Sono tutti lì i camerieri, a mangiare e a ridere. Un’altra giornata è passata, lunga e faticosa, ci sono stati momenti di tensione, litigate fra colleghi forse, momenti di caos, errori e rimproveri, ma sono tutti lì. Stanno cenando e ridono, si raccontano questo e quell’evento del giorno, si parlano con quella confidenza che possono avere solo persone che per tante ore al giorno vivono insieme, condividono lo stesso lavoro e vedono più i colleghi che le proprie famiglie. Passate davanti a quei ristoranti chiusi per metà, sentirete l’ilarità mista a stanchezza di chi fa un nobile mestiere e si guadagna da vivere onestamente.
Consigli per fare il cameriere a Fuerrteventura
Non starò a scrivere soliloqui infiniti. Due consigli fra tutti, per me fondamentali.
- Conoscere le lingue, per lo meno spagnolo e inglese, poi inutile dirlo, più lingue si conoscono meglio è.
- Consegnare il Curriculum direttamente al jefe ( il capo o responsabile) e rubargli qualche minuto per un colloquio face to face. E’ sufficiente chiedergli se sta cercando personale e dirgli in due parole quello che si sa fare e accennargli un paio di esperienze lavorative passate. Non preoccupatevi di disturbarlo o rubargli del tempo, apprezzerà la vostra audacia e nel momento in cui cercherà un dipendente, fra le decine di Curriculum impilati ricorderà con più facilità il vostro, per quelle poche preziose parole scambiate.